IERI ‘BURGHY’ OGGI ‘MCDONALD’S’, 6 DICEMBRE CHIUDE CULTO PANINARI A MILANO

La chiusura di McDonald’s di piazza San Babila a Milano prevista per il 6 dicembre segna la fine di un’epoca, quella dei ‘Paninari’ mitizzati di essere cresciuti – a torto – sotto il marchio italianissimo di ‘Burghy’ fino all’attuale brand a stelle e strisce. La fine di una stagione, quindi, generazionale ma anche di costume che la città di Milano ha visto e consumato a morsi di hamburger e patatine fritte sconfitti dal ‘caro affitti’ e – probabilmente – da una crisi energetica che non stenta a placarsi.

‘BURGHY’ VS ‘MC’

Era il 1981 quando il primo ‘Burghy’ – della catena di Supermercati Gs legata al Gruppo Sme e oggi inglobata nel Gruppo Carrefour – apre in Italia a piazza San Babila e da lì in poi arriva un successo a ‘catena’ fino al mito dei fast food. Nel 1995 ‘Burghy’ aveva un indotto di circa 200 miliardi di lire e contava già 96 ristoranti nel centro-nord Italia e solo l’anno dopo entra in campo il colosso americano.

IL RETROSCENA CHE VALE LA PENA RICORDARE.

Nel 1986 McDonald’s fatturava circa poco più di 100 miliardi di lire e aveva in Italia solo un locale, quello in piazza Walther von der Vogelweide a Bolzano e l’anno dopo aprì il locale di piazza di Spagna a Roma. Un po’ poco per arrivare all’acclamato successo dei giorni nostri. ‘Mc’ non riusciva ad imporsi perché su tutto il territorio italiano imperversavano i Burghy con i loro milkshake cheeseburger, kingfish e big burghy. Dopo la metà degli anni ’90 l’accordo economico italo-americano portò McDonald’s a sostituirsi ai Burghy, con il Gruppo Cremonini che proseguì a rifornire i nuovi locali della sua carne.

IL VERO ‘PANINARO’ QUELLO DEL ‘BAR DI VIA AGNELLO’

Nel frattempo era esploso il fenomeno di massa dei ‘Paninari’ che, in realtà, non nasce nemmeno sotto l’insegna di ‘Burghy’ ma come prodotto del cosiddetto ‘riflusso’…antidoto alla ‘pan politica’ degli anni settanta. Il ‘paninaro’ – che originariamente si ritrovava al bar ‘Al Panino’ di via Agnello nei pressi di piazza San Babila – dunque non era un ‘poldo seriale’ ma aveva un identikit sociale ben definito che si contraddistingueva per abbigliamento, frequentazioni, slang particolari e scelte musicali tanto da essere importato in fumetti e serie televisive di successo, come ‘Drive-In’, e cinematografiche come ‘Yuppies’. E allora eccoli ascoltare i Duran-Duran, indossare il Bomber o il Moncler lucido, o ancora il giubbotto di pelle Schott. El Charro ovunque e zaino Invicta dietro le spalle. Calzare sotto i Lewi’s 501 i Burlington e chiamare le loro ragazze ‘sfitinzie’, che a loro volta primeggiavano con le borse firmate Naj -Oleari.

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