1 MAGGIO-1 GIUGNO: IL FUTURO IN 30 GIORNI
La ‘chiamavano festa dei lavoratori’. Due mesi di chiusura, con gli incassi crollati, le spese che corrono tra il pagamento degli affitti, i mutui, le esposizioni bancarie, l’anticipo delle cassa integrazione ai dipendenti – visto che dal Governo i soldi ancora non sono arrivati – l’attesa per i prestiti che le banche ancora non hanno erogato alle aziende che ne hanno fatto richiesta, con pratiche inceppate perché il sistema previsto dal ‘Dl Liquidità’ si è rivelato un meccanismo farraginoso e non automatico, quando magari le imprese italiane si aspettavano un contributo a fondo perduto. In un momento di emergenza economica il volano della ristorazione – legato a doppio filo con il settore turistico – e che rappresenta punti percentuali di Pil importanti per il Paese-Italia viene ‘premiato’ con i prestiti, a sei anni. Uno schiaffo.
Il proprietario di un bar o di un ristorante dopo anni di fatica per aprire, persi spesso tra burocrazia e cavilli, e per restare aperto, in bilico tra tasse e crisi di ogni tipo, si sarebbe aspettato che il ‘suo socio di maggioranza’, lo Stato – a cui paga profumatamente tributi e imposte – corra in suo aiuto. E invece no. Non ti tende una mano ma ti dà una spallata. Una ‘potenza di fuoco’ che alla fine si è tradotta in prestiti. Il food italiano, fiore all’occhiello nel mondo, anziché tutelato è stato strozzato. La ristorazione italiana si sta indebitando per pagare i debiti accumulati durante il periodo di lockdown, e quando riaprirà non avrà nemmeno la liquidità necessaria per affrontare il futuro. La montagna ha partorito il topolino: il Dpcm che da lunedì 4 maggio enterà in funzione prevede che bar e ristoranti potranno effettuare il servizio di cibo da asporto, ‘da consumare a casa o in ufficio’ ma non sostando davanti ai locali. L’asporto si aggiunge al servizio a domicilio che da settimane rappresenta l’unica fonte di guadagno per quegli esercenti che, ancora, non hanno e non vogliono gettare la spugna. Per la riapertura…quella con la saracinesca tirata su bisognerà attendere ancora il 1 giugno, e non saranno rose e fiori tra distanziamenti fra tavoli, sanificazione dei locali, mascherine guanti e gel per i dipendenti. Bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi chiusi produrranno un effetto a valanga che impatta sull’agroalimentare nazionale per 5 miliardi di euro. In pericolo qualcosa come 320mila locali che oggi danno lavoro a oltre 1 milione e 200 mila persone. A fine anno le perdite per il lockdown supereranno i 30 miliardi di euro. Un duro colpo anche al made in Italy, dove l’agroalimentare a rischia di perdere fino al 30% del fatturato del comparto. Salviamo il food italiano!